Vallecrosia amore mio

Vallecrosia, 11.52 a.m.

Camminavo senza meta in una piccola città deserta, piena di palazzi male in arnese, fabbriche abbandonate, bar ottagonali, serre floricole in rovina, attraversata da un torrente in secca. L’angoscia cresceva dentro di me, i pochi abitanti che intravedevo fuggivano via veloci, non sapevo dove andare. Sempre più disperato mi diressi verso il mare, nella speranza di ritrovare un orientamento che mi permettesse di ritrovare la strada di casa. Ma quale casa? Avevo dei ricordi confusi di quella che avrebbe dovuto essere casa mia. Immaginavo fosse un piccolo appartamento in un quartiere periferico, i soliti agglomerati di edifici anonimi e scrostati, che solitamente circondano le grandi città e si sono moltiplicati anche in provincia. Raggiunsi la spiaggia. In lontananza scorgevo una costa piena di luci, davanti a me invece ancora palazzi scuri, ammassati uno sull’altro, come costruiti da un plotone di geometri ubriachi. Improvvisamente sentii un forte dolore alla spalla sinistra…ero caduto dal letto. Aprii gli occhi, tirai il fiato. Mi stropicciai gli occhi, e lentamente mi avvicinai alla porta-finestra, l’aprii e, uscito sul terrazzo la guardai: era la Vallecrosia che avevo appena sognato. Forse il sogno stava continuando, o forse no. Lentamente, richiusi gli occhi, non era ancora arrivato il momento di svegliarsi.

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